Relatione della conversione di un turco, 1632

Un notaro della città di Napoli, il quale serve li Padri della Compagnia di Gesù, essendo di pueritia allevato sotto la guida di detti Padri, per molti anni tiene devotione di fare nel giorno della Santissima Natività di Nostro Signore il Presepio in casa sua, dove sino all’Epifania et alcuni altri pochi giorni doppo ciascuno può andare liberamente a visitarlo, tenendo sempre la porta aperta a tutti la onde per spatio di più di 18 anni vi è un concorso di gente quasi di bona parte di Napoli, et altri luoghi convicini, et lui ha grandissima consolatione di farlo vedere a tutti, mutando ogni anni nuovi pensieri e modello del Presepio, non partendosi però mai da quello che la Santa Chiesa circa detta Santa Natività insegna, et ha traditione di quella.

Hor questo presente anno essendo concorsa molta gente più del solito il giorno di Santo Stefano li 26 di Decembre 1632, tra li altri venne uno schiavo turco il quale sta vicino alla casa di detto notaro chiamato Ametir a vedere che cosa si faceva in detta casa per il grandissimo concorso di gente che vi vedeva andare. Questo schiavo è di 45 anni, huomo ferocissimo di natione di Biserta, di fiero volto, et rozzissimo nel parlare et conversare: al quale se per caso alcuna persona gli havesse detto che si facesse christiano, per grande che fusse stato, anco al proprio padrone haverebbe preso le pietre et tirato, et fatto altri atti feroci, essendo come lui diceva osservantissimo della sua legge et invecchiato in quella et per la sua fede voler esser mille volte ammazzato. Il padrone anche si scorrucciava con le genti che ciò tentavano, perché questo si poneva in tal furore che per molti giorni non ne poteva haver bene, stando sempre adirato, et maledicendo et borbottando in [f. 1v] suo linguaggio, et perciò niuno ardiva dirli mai simil cosa: ma solo che li fanciulli da lungi lo facessero arrabbiare gridando alle volte "Amet christiano, Catir christiano (che così lo solevano chiamare), brusciata legge di turco", et altre simili parole, per il che riducevano questo schiavo quasi ad impazzire correndogli appresso, tirando sassi, dicendo parole dishoneste et altre cose da matto.

Hora come si è detto questo turco venne nel detto loco dove stava il presepio, et ponendosi fuor dalla porta di quello, stava molto attento a guardar bene dentro dove era molta gente che stava a vedere et tra essi il detto notaro, quando si udì ad alta voce gridare il schiavo con queste parole: "A mì Signor?", ponendosi la mano al petto. Il notaro, credendosi che dicesse a lui, rispose: "non ti chiamo", et il schiavo replicò: "Non tu Signor, ma a mi chiamor Dio Benedet", et subito si mosse et venuto avanti il Presepio si inginocchiò a due ginocchia et con le mani strettamente incrociate nel petto disse: "che voler Signor, che voler?" E poi disse: "sì Signor, sì Signor, torno christiano", et da poi disse: "non sapir" et subito si fece il segno della croce dicendo "in nomine Padre et filio et spingesant amen Giesù Maria", et baciò la terra con molta ammiratione di tutti, et in particolare del detto notaro che molto bene lo conosceva et sapeva che niuno gli haveva insegnato tal cosa. Dapoi il detto schiavo si alzò et disse: "ah Dio Benedet, tu stare vero Dio io voler far christiano, et credere a te, a Madonna, et signor Gioseffe". Et domandandogli il notaro che cosa era, lui rispose: "Signor, chillo Dio piccirillo [foglio danneggiato] vero Dio, haver chiamato a mì con la man diritta, et ditto venga [f. 2rvenga, et io havendo detto a mì signor et isso have ditto , et io sono venuto, et hora voglio far Christiano, per amor di Dio aiutar". Dapoi se ne andò in casa del padrone et fattosi dare alcuni pochi denari andò ad un barbiere et disse: "levar [parola illeggibile] sciocco, che io non star più turco ma uno christiano perché Dio chiamato a mì". La mattina seguente andò con il suo padrone a messa, cosa che mai soleva fare, entrò in chiesa, pigliò l’acqua santa, se la pose in fronte et in bocca et a due ginocchia ascoltò la messa con stupore grande del Padrone al quale disse che Dio l’haveva chiamato, et la notte havendosi serrato li era comparso il detto Bambino et detto che fusse andato dal notaro che lui l’havesse fatto battezzare, et che lo chiamasse Padre, et lui si havesse fatto chiamare Gioseffe. La onde andò dal detto notaro, il quale piangendo di allegrezza lo baciò, et se gli offerse prontissimo a quanto lui voleva, et dimandandoli che cosa havesse detto il fanciullo, disse: "io hieri tornando a casa doppo mangiato et fatto servitij, serrato porta, stutato candela, dormii, et fatto cinque venne chillo Dio piccirillo et me pose la mano alla canna, et non me fece male, ma me pose gran paura e poi disse tu voler gabbar a mi? Et io dissi no Signore, come non voler fare christiano, sì signor, et disse, se tu far christiano sempre aiutar a tì e si nò affocare e mannare Giahenne foco foco, và disse à Patre, chi star Signor, disse chillo notaro, e fatte fare christiano, che isso portare a ti, et voler bene a tì, e poi non lo viddi, ma mi lassò con grande allegrezza et non fare io chiu fantasia di tanto". Et così il notaro lo menò al Giesù [f. 2v] cioè nella casa professa et lo raccomandò al padre Vincenzo Caraffa preposto di detta Casa, il quale con grand’allegrezza, havendo essaminato il detto schiavo, lo cominciò a catechizzare, al quale va ogni giorno con grandissima allegrezza et con grandissimo gusto di detto Padre.

Non si può esprimere con lingua quello che lui dice venendo nel Presepio, la onde molti Padri vengano ancora per visitare il Bambino et sentir parlare il detto schiavo, il quale dice che lui si chiama Gioseffe et che il Santo Bambino gli disse: "far cruci", et lui rispose: "non sapir Signor", et così il Santo Bambino gli insegnò, et gli ha anche insegnato il misterio della Santissima Trinità, dicendo "Dio star uno, ma tri persone Padre, figlio, et spingersanto", chiamando così perché non molto bene può proferire alcune parole per la lingua che intoppa. Lui mena altri schiavi al presepio et predica ad essi, et ad ogni altra persona, gridando che esso è christiano chiamato da Dio et che la legge di Christiani è la vera legge, et quella di Maometto e la sua è falsa fede, replicando ad ogni persona tutto quello che gli è successo. Occorse che vennero molti padri con li novitii della Compagnia in detto Presepio, et il notaro per consolarione di quelli fece chiamare il buon Gioseffe, quale quasi sempre sta in casa di detto notaro, volendogli far servitio, et chiamandolo padre, et con detti venne un turco della signora Contessa di Scala, con il quale venne a parlare Gioseffe, et li padri dissero in tanto le litanie racomandandolo a Dio, et questo turco essendo ostinatissimo non si potria credere con quanto affetto Gioseffe gli parlasse, et con che zelo le cose che veramente [f. 3r] si vedeva che Dio parlava per esso. All’ultimo disse quel turco che Gioseffe dicesse bene, et disse preghiamo Dio che mi dia lume acciò mi faccia christiano ancor io, et Gioseffe disse, "Dio voler christiano, no per forza non, fare, fare che sarà bono per ti, et se no anderai al foco".

Il dì 23 di Gennaro giorno di domenica vennero molte signore a rivisitare il presepio con le quali furono cinque titolate, una di esse doppo haver sentito Giuseffe et ragionare et far molti atti di amore verso Dio, et molti di contritione qual sempre suol fare, perché inginochiato avanti al Bambino, dice: "che ho fatto io Sigorr che tu chiamato a mì? Ah Sigorr quanto haver peccato io star cane senza fede et tu chiamato a mì, quanto haver parlato male, quante bugie. Basta, non ciò Signore", et si percuote il petto, e poi bascia la terra con far intenerire tutti con laghrime. Hora havendo fatto più volte questo atto, disse detta signora titolata: "Giuseffe mio, me vole bene Dio a me?" E lui rispose, "a ti niente"; "et perché?", replicò quella signora, "perché – disse – tu mangiar ogni cosa, et non dar niente a poveri, dar limosine a poveri et non mangiar tanto, che Dio vole bene a tì, et si nò, Giahenne foco". Et poi disse: "legge di Dio star: voler bene a Dio et a poveri far bene, che Dio aiutar, non rubbar, non dir bugie, ire iusto iusto, Dio aiutare". La onde tutte quelle signore dissero: "questo predica". Et doppo molto, licentiandosi per voler andare a servire il suo padrone, disse: "Dio voler bene a tutti a tutti, et però facite bene tutti che Dio aiutar", et molte altre cose quali sono incredibili [f. 3v]. Dimodo che per quello che si vede et intende non si ha da dubitare della chiamata che gli ha fatto Dio, come lui dice, et lui ha grandissimo desiderio di farsi presto christiano, et sempre dice: "per amor di Dio far presto christiano, far presto amor di Dio".

Il notaro gli ha donato una corona con un crocifisso, et ogni mattina sente doi, o tre messe, et lui dice: "padre, dui volte ho fatto messa stamatina, tri volte detto corona". Et rispondendoli il notaro: "se tu non sa il Pater noster e l’Ave Maria, come dunque dici la corona?". E lui risponde così: "Io far cruci, e poi bascia uno, et figlio, bascia l’altro, et aspingesanto, bacia l’altro, et così non rubbar, non mazzar, non dir bugie, ire iusto, amar Dio, Dio benedetto, non baccar, non far tristo, non iuriar", et ad ogni parola cala un Pater noster, o Ave Maria et bacia la terra, et poi comincia da capo sino che la finisce, et havendoli detto il notaro che questo è bono che lo faccia spesso, ma che impari presto il Paternoster e l’Ave Maria, et lui dice: "Si patri, quando sapiri chillo, diciri chillo", et sta con grandissima audentia et molto attento alle cose della fede, e quando sente qualche cosa di Dio subito la riferisce con una gran facilità, dicendo sempre: "Dio aiutar a mì", il quale sia sempre Benedetto. Amen

[MS] Roma, Biblioteca Nazionale, Manoscritti,, Fondo Varia, 48, n. 5 (Miscellanea storica), ff. 1r-3v

Year

1632

About the converted

Converted people: 1

Gender: m

Schiavo

45 years old

From Biserta, Tunisia

Previously named Ametir

Named Gioseffe after the conversion

Cult(s) before the conversion:

The conversion

The conversion took place in Napoli

Year: 1632

Religious order(s) involved:

Mentioned places:

Bibliography

menzionato in: Salvatore Bono, Schiavi musulmani nell'Italia moderna: galeotti, vu' cumpra', domestici, Napoli, ESI, 1999, p. 533.

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