Relatione delli Battesimi generali dell’Indiani, quali nell’Isola Taprobrana dell’India orientale fra Francesco Negrone, minorita osservante cronista Generale de frati minori di tutta l’India orientale, ha convertiti alle fede di Christo, e battezzati

Andando io nel mese di febraro l’anno 1610 all’Isola di Seilan, per visitatore e commissario à visitare, investigare, e scrivere, come cronista delle Provincia di San Tommaso della detta India, tutto quello, ch’in essa li frati minori antichi e moderni hanno operato, e patito per servitio di Dio, e di sua Maestà Cattolica, e per honore della nostra Serafica Religione, doppo haver rifinita la visita incominciai à scorrere personalmente per tutte le parti della sopradetta isola in tal maniera, che per investigare le sopradette cose non lasciavo d’intendere diligentemente la conversione dell’infedeli di essa isola.

Per il che subito andavo à qualche Chiesa de nostri frati, e facevo subito congregare avanti a me tutti li gentili de Populi circonvicini, alli quali commandavo, che predicassero ad alta voce la falsità di suoi Idoli, e la verità della nostra divina fede per un certo nostro frate, chiamato frat’Antonio, nativo di una città del medesimo nome di esso Apostolo: Religioso di grandissima sodifazione e molto dotto non solo in lingua naturale di quell’Isola, ma ancora nella sua gentiliaca teologia, per la qual causa nel capitolo Provinciale di quella Provincia l’hanno fatto predicatore della detta lingua.

Nel fine della predica io commandavo per il detto padre in alta voce a tutti questi gentili, che conoscendo i suoi errori, innamorati della verità, e divinità della nostra santa Fede, volevano esser christiani, si fermassero nella chiesa, perché io l’havrei catechizzati nelli articoli della detta fede, et insegnato loro come dovevano osservare i commandamenti di Dio, e della santa madre chiesa, ma che quelli, che ostinati nelli loro errori non volevano esser christiani, potevano liberamente andarsene alle case loro, imperò ch’io non volevo, che alcuno [f. 12v] contro sua voglia fussi christiano.

Cosa certo maravigliosa, che sempre quasi tutti rispondevano ad alta voce, che chiedavano di sua spontanea volontà di esser christiani, e d’havere da indi in poi per suo Dio Christo Giesù, perché il sopradetto padre gl’haveva mostrato nella predica che gl’idoli, che in sin’allora adoravano, erano demonij. Doppo ch’io li lodavo della buona elezione che havevano fatta della fede di Christo, e l’incomincio all’osservanza del suave giogo della sua divina legge, gli domandavo, se arrenuntiavano essi idoli, ma sputavano in terra tutti insieme in vituperio e biasmo delli stessi idoli più volte, dicendo che con questo segno sputavano nelli suoi idoli, stimandoli e tenenedoli per demoni, non conoscendo altro Dio vero, se non Cristo. Mostravano in questo tanto spirito, e dicevano queste parole con tanta allegrezza dell’anima, che non potendo i nostri cori ascondere il gaudio che ricevevano con questa ammirabile mutatione della destra dell’eccelso Dio, facevano a noi gettare dall’occhi molte lagrime.

Fatte queste dimande noi, io commandavo per lo stesso Padre che fussero catechizati ad alta voce il lingua loro propria, dechiarando principalmente à loro il misterio della santissima Trinità nel meglior modo che poteva essere secondo la loro capacità, e finalmente qui li dimandavo se credevano in quello altissimo misterio della santissima Trinità? Tutti, huomini e donne rispondevano ad alta voce: "Credemo in quello senz’altro dubio". Doppo questo lo stesso padre mio interprete esponeva a loro i dieci precetti della legge di Dio, e li cinque della santa Chiesa, et il modo col quale havevano essi da osservarli. Finite tutte queste cose, io l’insegnavo che a ricevere la gratia del battesimo dovevano haver alcun dispiacere di tutta l’idolatria e peccati che havevano commessi contro Dio dalla fanciullezza loro sin a quel punto e dovevano appresso far proposito di non commetterli più; et a me di ciò tutti rispondevano che li dispiaceva molto di havere offeso Dio con le sue idolatrie, e peccati passati, de quali allo stesso Dio domandavano perdono, [f. 13r] promettendo di non trovarsi più ad idolatrare né peccare contro esso.

Finite tutte queste diligenze, dimandò inoltre frati parocchiani delle chiese circonvicine, à quali io a questo fine commandavo che si menassero; apparecchiavano subito alcune mense con paramenti d’altari (perché menavo meco sempre un’elefante già domestico, con tutte le cose necessarie a tal battesimo generale) sopra quali mense si ponevano l’olio, il sale, l’acqua benedetta, le stole, e le cotte che dovevano vestirsi i detti padri parochiani. E mentre s’apparecchiavano tutte queste cose, tutti i catecumeni se n’andavano nelle selve e boschi a cogliere i fiori, le bonine(?), le rose, et altre cose diverse odorifere de quali abbondavano i boschi di quell’isola, per farsi corone, cuffie et altri cerchi, et ornamenti di testa, ponendoli lor capi e di figliuoli e mogli e con le palme in mano, ritornando alla Chiesa con molta allegrezza e festa, con tamburi e altri instromenti d’allegrezza à squadra à squadra. Subito l’ordinavo io dentro alla Chiesa così, cioè, l’huomini con i fanciulletti da una parte, in due, tre, e quattro file secundo il numero di quelli che s’havevano a battezzare, e le donne con li fanciulli dall’altra parte con li medesimi fili, per spatio dall’uno all’altro di due braccia, dando a ciascuno scritto in mano il lor nome del battesimo per di poi scriversi al libro dei neofiti battezzati dal parochiano.

Essendo così tutti loro posti all’ordine, tutti noi frati cantavamo ad alta voce l’inno Veni creator spiritus etc. con il suo versetto, et orationi e con l’oratione della Madonna, e del nostro serafico padre con assai lagrime e singulti. Doppo questo rivestito d’una cotta e stola incominciavo io la cerimonia battesimale ad alcuni catecumeni, che per questo fine stavano meco nella cappella maggiore della chiesa, facendo in tanto l’altri parochiani, miei coaiutori il medesimo alli altri catecumeni, così brevemente compiendo per ordine la detta cerimonia del battesimo. Nel fine di quel battesimo io congregavo tutti i neofiti, e commmandavo per mezzo d’esso padre, mio interprete, che facesse una predica spirituale nella quale li essortavo che perseverassero nella fede, quali havevano ricevuta nel battesimo, e l’incamminavo all’osservanza della legge di Dio. Con questo si partivano da me, e da nostri frati parochiani verso le lor case andando esclamando ad alta voce nell’uscir della chiesa con dire queste formali parole: "Diavoli, Diavoli, che sin ad hora [f. 13v] c’havete ingannai, astringendosi ad adorar voi per dei, non c’è altro Dio, se non Cristo. Questo solo è signore del cielo e della terra, questo solo adoramo per nostro Dio e non voi, che conosciamo già per diavoli, e non havete dominio alcuno da quivi innanzi sopra di noi, siamo già della casa di Dio". Tutti insieme dicevano questo a così alta voce in atto di salti, e d’altri segni d’allegrezza, che ci lasciavano tutti grandissimamente lagrimati: cagionando questo la consolatione e gusto spirituale che l’anime nostre di ciò sentivano. E non cessavamo di ringratiar Dio, vedendo che col suo onnipotente braccio operava queste maraviglie in quelli neofiti, quali esso all’hora toglieva dalla mano delli demonij.

Dunque in questa forma io personalmente nelle parti diverse dell’Isola di Seilam feci ottomila cinquecento e trenta quattro cristiani in trenta e un battesimo generale, che io autenticai nella stessa Isola di Seliam con l’auttorità del giudice e così auttenticato lo mandai al padre provinciale della Provincia di Portogallo.

Dio volle autorizzare et honorare tutti questi battesimi con tre casi di gran maraviglia, per i quali questa mia farica e de miei frati restò memorabile appresso di tutti li cristiani, come gentili. De quali il primo è il seguente.

Stando nella chiesa di San Giuseppe di […] accompagnato da sette miei frati parochiani e da altri molti portoghesi, signori e populi indiani circonvicini a celebrare il dì seguente un battesimo generale di settecento e più catecumeni, uno delli detti Portoghesi chiamato Lopo da Hama, la notte precedente incominciò a scrivere appresso alla mezanotte in camera sua a porte serrate li nomi di tutti li catecumeni del suo popolo, li quali s’havevano à battezzare. Essendo egli occupato in questa opera, ecco che repentinamente gl’apparì il demonio in figura humana, molto estenuato e secco, deforme e squalido, il quale guardando i nomi delli catecumeni che il detto Lopo da Hama scriveva, mandava signozzi e molto lagrimava, digrignando, battendo, e stringendo i denti di rabbia, perché vedeva che il giorno seguente nel battesimo generale se gl’havevano da cavare dall’unghie quell’anime, de quali i nomi all’hora si scrivevano, e de quali molto tempo fa egli teneva il possesso. Il portoghese Lopo de Hama subito che lo vidde innanzi a sé s’arricciò tutto ne i capelli e nelle carni, e quasi morto non potè dir’altro [f. 14r] che: "Verbum caro factum est, vade retro Satana". Cosa maravigliosa che non potendo il demonio fermarsi per la virtù di queste parole divine, inanzi che il portoghese le finisse immantinente il demonio svanì dall’occhi suoi. Nella mattina del giorno seguente venne a noi il sopradetto portoghese e ci riferì questo caso con non minori lagrime che meraviglia. Di che noi ringratiassimo tutti Dio, che ci dimostrava chiara e visibilmente quanto si crucciava il Diavolo di veder scrivere nel libro della vita i nomi di quelli che insino all’hora erano stati scritti nel libro della morte e per che la verità di questo maraviglioso caso restasse verificato, presi da questo portoghese il giuramento della verità di questa cosa e ne feci instrumenti pubblici auttentici con testimoni de portughesi e di frati che erano ivi presenti.

Il secondo caso fu tale. Stando io nella medesima chiesa di San Gioseppe di Mipe(?) per fare con gran festa e solennità un altro battesimo generale, se ne venne a me un certo gentile assai descolorato con le spalle sanguinose per ferite ricevute, le cicatrici de quali apparevano ben fondate et impresse e mi domandò che lo battezzasse. Io, osservandolo, tra me stesso considerai che doveva havere nel suo popolo qualche signore portughese crudele et inhumano, che con tanta crudeltà lo batteva. Per il che volendo io sapere se veniva o no al battesimo puramente per l’amor di Dio, l’interrogai, qual era la causa che lo muoveva a farsi cristiano. All’hora egli fissando l’occhio in me incominciò a piangere e risposemi in presenza de frati e portughesi ch’erano meco, queste formali parole: "Odo dire che Dio de cristiani è Signore del Demonio, il quale come servo suo li è troppo ubbidiente, e nessun male può fare a quello che adora e serve questo Dio. Io vivo in un continuo tormento, perché da sette anni in qua suole il demonio due giorni nella settimana, cioè, il mercore, e il venerdì, menarmi violentemente a i boschi, et ivi battermi, sì come tu vedi, con le spine sin che mi bagno et aspergo tutto di sangue. Per qual cosa pretendo di ricevere il battesimo ed adorare il Dio de cristiani, perché essendo egli Signore del demonio sì come mi dicono tutti, non acconsentirà che il diavolo mi tratti tanto crudelmente come fa". Subito tutti proruppero in lagrime d’allegrezza, et in abbracciandolo, lo consolai, e l’assicurai, che non sarebbe stato più

[f. 14v] tormentato se si battezzasse et adorasse per Dio Cristo Giesù, non con principale intento che lui si liberasse da i flagelli che gli dava il demonio, ma solamente dalla cecità dell’idolatria, della quale Dio l’haveva liberato. A questo fine subito io lo consegnai al sopradetto frate Antonio, interprete mio, pregandolo che lo catechizzasse molto particolarmente, come fece, e dopo in generale con tutti l’altri catecumeni, con quali io lo battezzai un martedì, e gl’imposi nome Michele, alludendo a quello, che dice la scrittura sacra, et Micahel praeliabatur cum Dracone etc.

Volendo io dunque spedire tutti cateumeni per mandarli alle lor case, se ne venne a me questo Michele, dicendomi che voleva star meco quelli due giorni di marcore e venere di quella settimana, per vedere se il demonio lo tormentava come soleva. Io me ne compiacqui: e trattenendosi meco, il demonio non lo toccò punto, di maniera che si partì per andarsene a casa sua allegro e contento: et indi andò solo caminando per i campi e boschi senza che il demonio mai li apparisse, né li facesse un minimo male, del che i gentili di quella regione si maravigliavano predicando tutti che solo il Dio de cristiani era il vero, il grande, e potente, sì che il demonio non haveva potestà sopra chi l’adorava, e serviva.

Questa maraviglia fece tanta impressione nelli petti de gentili, che quattrocento e più di essi venero da me a chiedermi il santo battesimo, che io (perché il sopradetto frate Antonio di San Tommaso li catechizò conforme alle sopradetta forma) li diede a tutti a un per uno à i grandi, e picoli à gloria di Dio.

Il 3° caso fu tale. Ritrovandomi in quella chiesa di San Michele Arcangelo del Populo di Biligam, acciò il giorno seguente (che era la domenica, e la feste del nostro Padre Sant'Antonio di Padova) celebrassimo un gran battesimo generale, avvenne nella notte stessa, che sei gentili del popolo di Paradua, delli quali ciascuno nelle sue picciole casette stava guardando i suoi frutti seminati nelli campi, perché dalli ladroni non fussero rubati, ognuno di loro udì gran rumore e strepito di genti che passava; onde uno di essi gentili maravigliatosi di questa novità, volse sapere che cosa essa era, cioè, se talvolta fosse stato essercito d’Indiani, o Portughesi, imperò che all’hora gran guerra ardeva tra l’habitatori di quell’isola e Portughesi.

Per il che il detto gentile mettendo fuor del [f. 15r] suo tugurio il capo, vidde una gran moltitudine di augelli, chiamati in idioma portughese Carlay marinay, li quali parlavano in idioma e lingua delli habitatori di quell’isola. Uno de quali augelli chiamò a sé un di quei gentili per suo proprio nome, dicendogli: "Darauma, vieni qua". Il detto gentile divenne tutto tremante, e se n’andò a quello augello che l’haveva chiamato. Il quale augello, prendendolo, dalla terra lo alzò in aria, conducendolo così in compagnia dell’altri augelli per l’aere per sin’al fine di un pantano d’acqua. Allohora quel gentile così portato, già posato in terra, interrogò l’augello chi egli era, e donde egli venisse con l’altri augelli? All’hora esso augello li rispose così: "Io sono Mangareiacu (così si chiama il demonio dell’Indie, demonio delli viaggi) e vengo con questi novecento mie compagni da paesi che rimangono a dietro, dove sempre habitavamo con assai pace e quiete, perché erano nostre possessioni per antica nostra heredità. Ma hora ci vengono violentemente rapite, mandandoci in essi […] contro nostra voglia totalmente fuori de limiti loro, talché ce n’andiamo nell’horto chiamato Palamula dell’Idolo della villa Tenuare, acciò possiamo ivi quietamente habitare". Questo diavolo chiamato Mangariacu, cioè, il demonio delli viaggi, sta nell’Isola Tapobrana assai conosciuto, il quale viene molto adorato dalli habitatori di quell’Isola, offerendoli essi molti sacrifici, acciò che nelli viaggi, nei quali nuoce a tutti i viaggianti, non li faccia male alcuno, ma lo plachino e sodisfaccino con essi. Di modo che lasciarono questi augelli quel gentile in quel luogo alla radice di un certo arbore chiamato budiame(?) consacrato alli Dei, tutt’insieme in tanto volandosene nell’horto della Palamula, con gran strida e strepiti.

Li cinque gentili, che erano in compagnia del sesto gentile già allato in aria, e fermato alla radice del sopradetto arbore, osservando tutto ciò, seguirono insieme d’accordo li augelli et il compagno, per vedere qual fosse il fine del caso, e caminando per quel pantano tutti bagnati d’acqua et imbruttati di fango, arrivarono finalmente alla radice di quest’arbore, dove stava, lasciato dall’augelli detti, il detto lor compagno, quale da essi veduto, li dimandarono chi l’haveva condotto, e portato in quel luogo, ai quali egli rispondendo, narrò tutto il fatto avvenuto e per [f. 15v] informatione della verità di tutto ciò, li aggiunse: "vedete, come vi sete bagnati tutti d’acqua, et imbruttati di fango per esser voi passati per il Pantano, et io no, per esser stato portato per l’aria dalli demoni!".

Venendo il giorno subito la mattina questi sei gentili con gran maraviglia loro riferirono alle genti di quel paese questo che havevano visto: il che fece tanta impressione ne i petti di essi, che fu aperta una gran porta alla conversione di tutti quelli idolatri, li quali venivano a me a drappello a drappello a chiedere il battesimo, e vedendo io, che non era bastevole di propagar la fede di Cristo tra l’infedeli, se ancora non s’estirpava il culto dell’idoli da tutti i limiti e termini dell’indiani nostri cristiani, subito incominciai a rovinare, e distruggere tutti i tempij che potei dell’idoli, dove io ritrovai gran moltitudine de loro Dei, alcuni dei quali erano scolpiti in bronzi sopra indorati et alcuni altri dipinti in teli. Delli dei di bronzo, commandai che se ne facessero candelieri d’altari, e lampade, et altri vasi per servitio della chiesa delli frati dell’isola nostra, benchè ce ne serbassi, oltr’a questo numero, sessanta dei di bronzo, quali mandai al Provinciale della provincia di Portogallo. Oltre di ciò da fondamenti fabbricai cinque chiese parochiali nelle populi indiani, quali io battezzai: alle quale chiese poi providdi(?) di religiosi parochiani, acciò essi amministrassero i sacramenti alli stessi Neofiti, e con il pascolo della Parola di Dio l’insegnassero, e confortassero.

Ma di tutti questi casi sia laude, honore a gloria al solo Dio onnipotente, come vero auttore di tutti questi miracoli, il quale mi ha liberato in questa mia isola due volte da sotto piedi di due elefanti ferocissimi, li quali fracassano e fanno in mille pezzi l’huomini quando li possono prendere. E tre volte mi ha anco liberato lo stesso Dio dalle bocche di molte balene, che mi havevano circondato nel Canale di Cilao appresso a quest’isola. E sette volte m’ha liberato di assai bregantini de corsari malabares, che pure m’havevano circondato per esser’essi molto sitibondi e bramosi del sangue cristiano. Finalmente molte volte mi conobbe perso per le grave procelle e tempeste tra i mari in scogli e per il patimento, ch’io ho fatto delle fatiche, fame, e sete, spessissimo offerendomi al periglio della vita nel predicar l’Evangelio all’indiani per la conversione dell’infedeli, e per accrescimento della fede cattolica, à gloria di cui io hora ritornandomi nell’Indie, bramo di spargere il sangue, e la vita. Che Dio lo stesso mi conceda.

[MS] Roma, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese,, I, 924, ff. 12r-16r

Author

Francesco Negrone, francescano (Francisco Negrão)

Year

1610

About the converted

Converted people: 1

Gender: m

The conversion

Year: 1610

Bibliography

On Francisco Negrão, cfr.  A. Barreto Xavier, I. G. Zupanov, Catholic Orientalism. Portuguese Empire, India Knowledge (16th-18th Centuries), Oxford Univeristy Press, 2015, pp. 173-74; 179-81; 195; 251-2; 264.

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