Relatione del modo come si convertì alla fede christiana un turco, et della sua morte [1640]

[f. 65r]

Navigando l’anno passato le Galere di Malta la volta di Levante secondo l’usanza di quella militar Religione fecero alcuni schiavi, et fra gli altri uno nominato Agali nativo d’Alessandria d’Egitto, che da Fra Giovanni Batista Caracciolo de prencipi di Santobuono fu portato in Napoli. Era costui d’alta statura d’età giovane e per quant’egli disse d’anni 26, superbo et altiero, et di conditione mercante e sì ardente della falza legge maomettana, che per niuno modo volle mai lasciarla, quantunque dal padrone più e più volte con premi e con carezze di ciò ne fusse stato richiesto. Fu egli fedele al suo padrone e ne servigij di lui molto pronto, et essendo dimorato fra christiani circa undeci mesi, ciò è che su le galere, et vene con detto Fra Giovanni Battista.

Volle la divina misericordia con modo stravagante chiamarlo alla christiana religione per salvarlo.

Correndo l’ottava del Santissimo Sagramento del Mese di Giugno, id est 14 del 1640, ove da fedeli è solito portarsi Christo trionfante per le strade, occorse che in questa giornata uscì la processione dalla chiesa parrocchiale di San Damaso della Vicaria al Santissimo Sagramento, circondando il suo quartiere, et passando per la strada Carbonara ove è il palazzo de mentionati Signori Carraccioli, et giungendo la processione avanti di esso si vidde uscir da un vicolo qui vicino il detto Agali con uno bastone nelle mani, Acceso d’ira et di furore, credo cagionato da qualche accidente, s’avventò verso il Parroco, che portava il Santissimo Sagramento, per darlo a terra con quel bastone, siché, ribattuto da fedeli, che eran quivi assistendo a sua divina [f. 65v] Maestà, se ne fuggì in un vicino palazzo ove accorse infinita gente maltrattandolo, fu preso et legato.

A questo rumore sopragiunse don Ferrante Caracciolo, il quale certificato di quanto era seguito lo fe ben bene battere, et s’era risoluto d’ammazzarlo, quando che gli venne in pensiero di consegnarlo alla giustitia, accioché fosse severamente punito, et così maltrattato fu dato in mano della Corte. Ma il Signore che dell’altrui salute è bramoso diede un lume sì grande a questo turco svegliandolo dal profondo letargo della maomettana setta, et gli fe conoscere il miserabile stato in che si trovava d’esser figliuolo del Diavolo et lontano dalla fede christiana. Per il che, in entrar nel cortile del tribunale della Vicaria, gli nacque un desio nel cuore di farsi christiano, et si sentì intonar nelle orecchie il nome di Gioseppe. Questa fiamma cominciò a ardere sì fortemente nel petto di Agali che … bramava di mutar legge fu egli posto in humido carcere ove dimorò per alcuni giorni. Di maniera che non sapeva a chi ricorrere, tuttavia l’ardore cresceva et desiderava dar principio alla sua salute. Hora mentre stava egli in questi pensieri fu da giudici chiamato per esseminarlo. Gli dimandarono del suo nome, dell’età, et della di lui conditione. À questi proponimenti rispose loro, che di conditione era turco, d’età d’anni 26, ma di nome Giuseppe, et si voleva far christiano. Stimavano i giudici che queste risposte fussero inventate dal Turco per sfuggire il castigo della morte, et gli si soggiunsero che simile fintioni non accaderano perché senz’altro dovea morire. Rispose Agali con intrepido coraggio: “voler morire e servir dio e non voler vivere esser turco”, et benché spesse volte gli dimandassero del suo nome, sempre rispose chiamarsi Giuseppe. Fu rimandato nelle carceri dell’infermeria per stare egli ferito et quivi con gran desiderio dimandava della fede christiana, desiderava essere istrutto de’ … della legge divina, con grand ardore di spirito bramava di sapere gli articoli della Christiana Religione. Dimorò tre giorni senza libertà tant’era il desiderio di farsi christiano [f. 55r] che non badava ad altro, et questi desiderij invigorivano il corpo in sì fatta maniera che sopportò sì lunga inedia.

Finalmente come neo cristiano fu da giudici condannato a morte. Furono intanto a 18 del medesimo mese avvisati i fratelli della Compagnia de’ Confortatori detti i Bianchi, accioché con la loro solita carità istruissero et confortassero il Novello Christiano Agali alla christiana legge. Giunsero quivi due de’ padri à chatichizarlo, quali appena visti da lui lasciò tutti gli altri et con allegrezza andò ad abbracciarli dicendo loro che la passata notte non havea mai dormito parendogli molto lunga per il gran desiderio havea di vedergli et con essi parlare della legge divina per andare presto in paradiso à servire Dio. Diede segni non piccioli della viva fede che già s’era cresciuta nel cuore, imperocché egli essercitò ogni dovuta riverenza a … et usò una obedienza esatta a quei che lo confortavano, laonde, stando egli avanti di essi, et vedendo che stava molto estenuato e debole lo volevano far sedere, a quali ricusò, ma essendogli commandata ubbidienza subito eseguì. Anhelava di presto ricevere l’acqua del Santo Battesimo, siché diceva, toccando le vesti bianche dei confrati: “Io battezzare presto perché subito fare così biancho dentro”. Non si può esplicare quanto era grande questo suo desiderio d’essere christiano, confessando di sua bocca che il padrone più volte l’havea fatta questa richiesta pomettendogli di farlo franco, et di darli molti denari, ma soggiungendo diceva: “Chiamato Dio a mi, subito far christiano non per amore del padrone ma per amore, per amore Dio benedetto benedetto”. Richiedeva allo spesso à padri confortatori, che l’istruissero, et in particolare il misterio della Santissima Trinità, che non sì tosto da quei li fu insegnato, che l’apprese et la confessò dicendo: “Io adorare uno Dio solo e tre persone, Padre, figlio e spiritosanto”. Segnavasi col segno della Croce, diceva: “Achà stare Padre, achà stare figlio, cha stare spirito santo”, replicando spessissime volte: “benedetto, benedetto”, facendo il simile quando recitava gli articoli della fede. Capì con tale sentimento la Verginità di Maria, che ogni volta sentiva nominare Maria, aggiungeva: “Sempre, sempre, sempre Vergine”, et ciò spessissime volte replicava. Richiese più volte ai fratelli [f. 66v] confortatori, che gli facessero tagliare quel ciuffo di capelli, che teneva sul capo (segno che lui era schiavo), et con grande instanza replicava d’essere battezato dicendo: “Far bianco, bianco”, et ce li fu promesso per la seguente mattina.

Venendo dunque il giorno da lui desiderato ricevè con molta humiltà e divotione il Santo Battesimo. Et con tutto che era ferito in testa, si volse tutto il capo scoprire, et così fu battezzato, lodando e benedicendo Iddio che l’havea chiamato a tanta gratia. Dopo si tagliò il ciuffo de capelli che preso da lui lo buttò in terra calpestandolo molte volte detestava la falsa legge maomettana, dicendo che era bugiarda e trista, poscia con giubilo arridendo, diceva allegramente: “Io stare christiano, chiamare Giuseppe, andare in paradiso a servire Dio”. Vide con molta divotione la prima et ultima messa, et ricevè il Santissimo Sagramento dell’eucharestia, et poco dopo a richiesta dei fratelli confortatori fu portata una bianca veste accioché Gioseppe con quella si vestisse per dinotare che già era fatto christiano, essendo questa antica usanza nella chiesa di andar vestiti di bianco i novelli christiani. Essercitò molti atti di umiltà in volendola vestire, perciocché essendo ella foderata di seta bianca ricusò più volte di porsela, ma diceva voler una di quelle portavano i fratelli confortatori, et era molto renitente a volersela vestire, di modo che gli fu per obedienza commandato, et egli senza replicar come onesto christiano ubbidì.

Dimandò poi garofali e fiori, quali fatti venire dai medesimi fratelli li prese et poi li fe toccare a tutte l’imagini che erano nella cappella et con molta divotione gli baciava tenendo il crocifisso nelle mani con molti atti d’humiltà se lo passava in testa, dicendo: “Io tenere con me figlio, dare Mamma”, onde pregò gli dessero una di quelle immagini che portan attacate su le spalle, quale ricevè con molta riverenza et allegrezza, et sotto dei piedi del crocefisso la collocò dicendo: “stare buono havere con me figlio, havere mamma”. Prese poi i garofali et ne adornò l’una et l’altra imagine, et con questi santi essercitii et atti di riverenza et humiltà s’andava trattenendo quando che s’accorsero i fratelli che per la lunga inedia Gioseppe stava molto [f. 67r] fiacco, onde l’essortarero a cibarsi acciò con più forze havesse potuto servire a Dio; il che con estatta ubbedienza accettò, intanto gli fu dato dall’infermiero cibbo di carne, il qual visto da Gioseppe non volle mai assaggiarne se prima non fosse da fratelli assicurato di poterne mangiare con dimandar loro se i christiani in quel giorno si cibavano di carne. Imperoché diceva: “Io stare christiano, voler fare quello che fà buono christiano”, et dimandando la benedittione ne mangiò.

Dopo gli fu ordinato che si riposasse, et così sedendo in un banco della cappella dell’infermeria stava guardando alcune immagini sagre et con santa curiosità dimandò ad uno dei fratelli il significato di esse. Li fu dimostrata l’imagine della natività di Gesù Christo, et capì subito questo misterio, et intendendo che in quella v’era il glorioso San Giuseppe fe una grande allegrezza et affettuosamente la riverì; poscia li fu dimostrata la dipintura del Purgatorio et in essa la Santissima Vergine che riceveva l’anime purgate in cielo, soggiunse: “Così io salirò in cielo bianco bianco” et anco li fu spiegata la dipintura dell’Inferno, et le anime dannate che in essa penavano et perché stava sedendo di sotto quella, s’alzò all’infretta dicendo: “Levare(?) da che io non stare chiù turco, non havere da ire inferno. Io stare christiano fino volere servire Dio e saglire in paradiso”. Fu dalla cappella dell’infermeria condotto a quella delli bianchi detta degli afflitti et mentre per le … de Carcerati caminava andava essortando tutti a servire a Dio et andare in paradiso, et in questo era tutto affetto e pieno di devotione. Gionto nella cappella de’ Bianchi con profonda humiltà reverì le sagre imagini. Intanto s’essercitavano i fratelli a diversi ragionamenti spirituali, predicando bene nella fede, come anco in persuadergli la pacienza, et soffrir la morte per amor di Dio, che pieno di fervore Giuseppe chiamò il mondo vigliacco sputando e calpestando diceva esser solo furfanterie. Laonde uno de fratelli osservando tanto fervore in questo novello christiano stava stupito della grande misericordia di Dio et come pensoso, siché giudicandolo Giuseppe che dubitasse di lui gli disse: “In questa guisa papasso non tenere fantasia. Io stare christiano fino forte(?) né havere [f. 69v] paura de niente. Io volere ire Paradiso servire Dio benedetto e Maria sempre sempre Vergine”.

Riceve dal vescovo il sagramento della confirmatione et prima di riceverlo si buttò a piedi di quello, dicendo: “Chesto stare Papasso grande”, et con grande sentimento ricevè la santa Cresma, et nel dargli il vescovo la guangiata, gli disse: “Sappi Giuseppe, che questo si fa in segno che il christiano s’avezzi a patire, et a sopportare per Dio ogni aversità, et anche la morte, et arispose: “Io stare christiano fino voler voler patire e morire per amare Dio. Preso che ebbe questo sagramento gli venne un desiderio di presto morire per andare alla Beata Padria, onde allo spesso diceva: “Quanno ire a morire, quanno ire in Paradiso?”.

Sopragiunse intanto il Confalone con tutta la Compagnia de Bianchi qual egli con profonda humiltà riverì tutti dicendo: “Chisti stare tutti santi bianchi così stare biancha biancha anima mia”. Fatti poi i soliti essercitij da fratelli fu Giuseppe aggregato alla Compagnia, ricevendo le consuete indulgenze. Fra questo mentre venne il Ministro a lui, Giuseppe condolea subito l’abbracciò, et allegramente baciò la corda che se la pose al collo, et facendolo diceva: "Chesta morte ne stare niente, essere solo per amare Dio benedetto", e mentre il ministro l’andava allacciando le braccia, gli disse: “No havere paura, io non fuire, me stare fermo e voler morire presto e servire Dio benedetto”. Avanzandosi già i fratelli per uscir dalla Vicaria, egli con frettolosi passi, e con allegrezza grande gli seguiva, tant’era il desiderio di presto morire, et passando per le carceri, et per la sala della Vicaria essortava tutti ad amare e servire Dio. Giunsero nel cortile dove era preparato il Carro sopra del quale dovea salire Giuseppe, et parendogli haver troppa comodità chiese in gratia d’andare a piedi, dicendo che potea fatigare, ma da fratelli gli fu per ubbidenza commandato, et egli subbito vi salì, et per le strade dove vedeva calca grande di gente essortava tutti ad andare in paradiso. Giunto alla chiesa del Refugio si fermò avanti di essa recitando cinque paternò et due Marie con molta divotione et humiltà, per conseguire la solita Indulgenza. Poscia repigliando il camino, et ogni volta che passava davanti qualche chiesa voleva fermarsi et adorare Dio e la Santissima Vergine dicendo: “Io essere stato turco, mai haver visto chiesa, hora stare christiano voler fare sempre oratione”. Per tutto il camino andò sempre ridendo e benedicendo Iddio, et con molta attentione ascoltava i fratelli [f. 68r] che l’essortavano, et quando gli era suggerita qualche cosa della gloria del cielo e della divina grandezza s’infervorava in guisa tale, che essortava a caminar presto perché voleva andare in cielo, et molte volte dicea al capitano: “Signor capitano far caminar presto carro. Io voler andar presto in paradiso”. Fu assalito grandemente dalla sete per cagione della febbre, per causa delle ferite che sul capo havea, che dimandò da bere; et essendogli detto da fratelli che Christo essendo in croce dimandò anche esso da bere, et gli fu dato fiele et aceto, onde Gioseppe havendo bevuta l’acqua fe un atto di virtù perché havendola nelle mani non ne volle assaggiare, ma la buttò in terra, et passando davanti il Palaggio Reale vidde vicino al carro uno schiavo, s’accese di maniera di zelo della santa fede che voltandosi a colui lo chiamò: “Cane dannato perché stare turco e ire Infierno”, e li sputò e calpestò molte volte dicendo a fratelli che lo calpestassero anch’essi.

Avvicinandosi al luogo del Castello con grande instanza fe fermare il carro perché erano cascati i fiori de’ quali adornati erano il crocifisso et l’immagine di Nostra Signora, dicendo che non doveano andare per terra quelle cose che toccate haveano l’immagine di Dio benedetto e di Maria sempre Vergine, né già mai si quietò sin tanto non si raccolsero tutti e li ritornò a riponere alle sagre imagini. Havea così in odio il nome di Maometto, che nominandolo uno dei fratelli lo pregò a non volerlo più nominare perché era un maledetto dannato, ma che solo Dio chiamasse e Maria sempre Vergine. Giungendo finalmente a santa Caterina a Formiello, luogo da lui conosciuto per essere vicino al palazzo del suo padrone, fu soprapreso da grande allegrezza dicendo che s’accostava l’hora d’andare in paradiso, e passando per la casa dove habitava vidde molta gente di quella, con allegrezza et alta voce le disse: “Io non stare più turco, essere christiano fino andare servire Dio benedetto, venir voi pure in paradiso, essere buoni cristiani”. Arrivati al luogo del patibolo, calò giù dal carro et incominciò a saltare et con passi veloci caminava dicendo: “In paradiso, in paradiso”, ma raffrenato dall’obbedienza, s’inginocchiò, et gli fecero fare alcuni atti di contrittione et ricevè il sagramento della penitenza. Poscia cominciò a salire a tre scalini la volta della scala, sichè furono costretti di trattenerlo acciò potesse salire il ministro. Salito poi diceva: “Presto, presto, Paradiso, Paradiso” con allegrezza e divotione confessò tutti gli articuli [f. 68v] della fede, et nomiando lo spirito santo giudicava d’haver finito et si voleva buttare si non fusse stato ritenuto. Ditestò la falsa legge maomettana, et ogni volta che sentiva il nome di Dio et di Maria si voleva buttare dicendo: “Paradiso, Paradiso”, e così, finiti l’essercitij, nel nome di Giesù e di Maria, Gioseppe con ferma fede rese lo spirito a Dio.

[MS] Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti, Scaffale II, A 10, (Carte del sec. XVII: Miscellanea di storia napoletana di mano di Camillo Tutini), ff. 65r-68v

Year

1640

About the converted

Converted people: 1

Gender: m

Schiavo

26 years old

From Alessandria d'Egitto

Previously named Agali

Named Giuseppe after the conversion

Cult(s) before the conversion:

The conversion

The conversion took place in Napoli

Year: 1640

Specific devotion(s):

Mentioned names and figures:

Mentioned saints:

Mentioned places:

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