In Napoli furono convertiti e battezzati diciotto maomettani per opera dei nostri padri, uno dei quali presidava alla Congregazione eretta per adoperarsi efficacemente a tali conversioni.
Fu tra quei diciotto una certa Cata giovane donna di venticinque anni, di statura molto grande, nobile e bella di aspetto, distinta per ingegno e costumi convenevoli a più alti natali, dei quali ella stessa si vantava, dicendosi figlia di non so quale governatore maomettano. Buona ed onesta, sentiva però molto di sé [f. 93]: onde a darsi vinta alle ragioni a lasciarla superstiziosa maomettana ostinatamente si difendeva, non volendo col battesimo confessar pubblicamente che ella fino a quel tempo era stata in errore.
Ma, come piacque a Dio, cadde quest’anno in una febbre mortale: onde i padroni, i compagni di servizio e tutta la famiglia le furono attorno con più calde istanze che provedesse omni all’anima sua e si battezzasse. Per ciò si chiamò ancora il nostro Padre prefetto della Congregazione detta più sopra, il quale la strinse con ragioni, con promesse, con preghiere: ma Cata fu sorda a tutto, e quando più era convinta dagli argomenti rispondeva che ora non aveva i suoi libri onde prendere le risposte.
Pertanto s’addormenta in sogno le pare di vedere un branco di lupi che minacciavano di sbranarla. A su ripetuta visione grida esterrefatta e chiama aiuto: accorrono le compagne e in buon punto le suggeriscono quelli essere demonii i quali prima ancora di trascinarla all’inferno l’avrebbero dilacerata qui viva viva, se non si faceva cristiana. Neppure così fu potuta smuovere: ma ben presto allo spavento dei lupi divoratori sopraggiunsero vere ed acerbissime doglie, sicché l’infelice, vinta dal dolore, si arrese e consentì di essere battezzata in quell’estremo pericolo da un’altra serva, che a ciò aveva ricevuto istruzione dal nostro sacerdote.
Ma quando si venne al fatto, apparve che quel consenso era stato strappato sol dalla paura e dai dolori, perocché in niun modo su potè addurre a farsi il segno della croce e fino al far del giorno, avendo ormai per la forza del morbo perduta la lingua, diede nondimeno segni di pertinace rifiuto [f. 94]. Onde che ritornato all’alba il padre e trovatala in quello stato e affatto restia agli ultimi assalti che le diede, se ne uscì per andare ad offrire per lei il sacrificio della messa, ordinando che i congregati facessero intanto preghiere per quella conversione.
Furono esauditi: perocché la Cata svegliatasi come da un letargo, subito cominciò a parlare della religione cristiana e domandava con istanza d’essere battezzata il più presto possibile. Fu richiamato il nostro sacerdote, e la ravveduta giovane fu battezzata col nome di Rosina Candida, siccome essa volle in memoria di una cotal regina che dalla gentilità era passata alla cristiana religione. E poiché era agli estremi, prese ancora il viatico e l’estrema unzione: ma pure fiera lotta sostenne più tardi col comune nemico, e fu udita dire nell’assopimento: "Tu dici così perché non sei cristiano: ma non così io che sono cristiana".
Finalmente tra gli atti di pietà e di religione riguardando nell’immagine di Gesù Crocifisso spirò, e il corpo dopo morte, spariti il lezzo e la deformità della malattia, con maraviglia degli astanti mandava una fragranza e riapparve più candido e più bello.